Le ipotesi scientifiche
Le argomentazioni in merito alle esperienze di premorte sono sostanzialmente di due tipi, uno scientifico e pragmatico, l'altro di carattere prettamente spiritualistico.
La scienza, sulla base dei precetti convalidati nelle neuroscienze, attribuisce queste fenomenologie a cause di tipo chimico, neurologico e biologico.
Le esperienze, alla luce di questa interpretazione, potrebbero essere un effetto dell'ipercapnia (aumento di CO2 nel sangue) o dell’anossia (insufficienza di apporto di ossigeno al cervello) o dell’impiego di determinati farmaci durante la terapia intensiva.
L'organizzazione del CICAP, ovviamente scettica sull’argomento, attribuirebbe il ricordo del tunnel ad un effetto dell'ipossia cerebrale, che altererebbe il campo dell'apparato visivo. Lo stesso Comitato, attribuirebbe l'autoscopia - o esperienza extracorporea - a un disturbo psicopatologico causato dal trauma o della situazione altamente critica.
Il primo studioso di questi fenomeni è stato il medico e psicologo americano Raymond Moody, autore del celebre bestseller “La vita oltre la vita” (Life after life), pubblicato nel 1975. Grazie a lui il fenomeno ha ottenuto rilevanza e ha conquistato l’attenzione internazionale. Prima di lui, soltanto Elisabeth Kübler-Ross, psichiatra svizzera fondatrice della psicotanatologia si era interessata agli studi sulle nde.
Un contributo a tutt’oggi più approfondito è, probabilmente, quello di Pim van Lommel, cardiologo olandese che, nel 2001 pubblicò sulla prestigiosa rivista medica “The Lancet” i risultati di uno studio condotto per oltre 10 anni su 344 pazienti. Lo studio, condotto con metodi scientifici e statistici, aveva come obiettivo la verifica dell’esistenza o meno delle NDE. Dopo una lunga analisi si concluse che i ricordi della NDE non coincidessero né con le irrilevanti attività cerebrali del soggetto, né come epifenomeni delle stesse, quasi a intendere le NDE come degli “stati di coscienza” totalmente separati dal corpo.
Nel 2010 il professor Bruce Greyson dell’Università della Virginia, dopo aver raccolto per anni vari studi, stabilì una sorta scala per misurare l’intensità dell’esperienza di premorte. Secondo Greyson, le NDE sono distinguibili da altri stati di alterazione psichica poiché di emotività molto intensa, quasi mistica, con scene molto limpide e vivide.
Attualmente NY, un importante programma di ricerca ha avuto inizio nel 2008. Il dott. Sam Parnia, professore assistente di terapia intensiva all’università Statale Stony Brook di New York, in collaborazione con il dott. Peter Fenwick e i professori Stephen Holgate e Robert Peveler dell’università inglese di Southhampton, è alla guida del programma AWARE “Awareness during resuscitation”(consapevolezza durante la rianimazione), la ricerca sulla NDE più estesa mai condotta che coinvolge ormai 25 ospedali tra Regno Unito, Europa centrale, Stati Uniti, Brasile ed India. Nel 2014 sono stati resi noti i risultati dello studio: è emerso tra l'altro che circa il 40% dei soggetti esaminati ha avuto "percezioni di consapevolezza" durante l'arresto cardiaco, ma solo il 9% ha avuto NDE. Il dottor Parnia ha affermato: "Potrebbero essere molti di più i casi di esperienze dopo la morte ma molti non le ricordano a causa dei danni al cervello o ai sedativi che sono stati somministrati".
Parallelamente all’Hospice di Buffalo un team di medici specialisti e ricercatori guidati da Christopher W. Kerr, un internista che ha un dottorato in neurobiologia, studia il ruolo terapeutico dei sogni e delle visioni dei pazienti prossimi alla morte. Al fine della ricerca sono stati intervistati 59 malati terminali. Quasi tutti hanno riferito di aver fatto sogni o visioni, descrivendone la maggior parte in termini confortanti.
Da statistiche durate circa 40 anni risulterebbe che approssimativamente il 15% della popolazione mondiale abbia riferito di aver vissuto esperienze di questa natura.